Monologhi di coppia
Sandro Montalto
Monologhi di coppia
Prefazione di Paolo Bosisio
Edizioni Joker, Novi Ligure 2010
60 pagine
ISBN 978-88-7536-248-5
Della povertà drammaturgica che, a parte solitari esempi, ha investito le scene italiane contemporanee sono responsabili, in prima istanza, gli scrittori che, sovente, si accostano alla drammaturgia considerandola una declinazione in scala minore della letteratura cosiddetta alta e non, invece, uno fra i codici dello spettacolo, alle cui regole è necessario che essa corrisponda. Chi scrive per il teatro deve essere consapevole delle esigenze connesse all’allestimento del testo, come dei limiti e delle prerogative del palcoscenico: la vicenda prende corpo e sostanza con le parole degli attori, diventa fatto concreto – davanti agli occhi del pubblico – attraverso oggetti e pezzi di scenografia che possiedono una propria reale materialità e, dunque, sono sottoposti a regole assai precise. Poiché in Italia non esiste – per tradizione purtroppo consolidata – la figura del dramaturg (presente invece nel teatro germanico e anglosassone), spetta al commediografo il compito di fare sì che l’opera sia adatta a divenire strumento dell’idea registica: proprio in tale ottica mi pare apprezzabile il lavoro di Sandro Montalto, che ha saputo conciliare le esigenze del teatro – ove tale termine va inteso come indicativo di un’arte composita e materiale – con quelle autentiche della sua poetica di autore. Montalto fotografa la realtà contemporanea, mostrando un mondo frammentario e incoerente, in cui il dialogo si smarrisce sino a divenire niente più che una sequenza di battute disconnesse e svincolate l’una dall’altra, una serie di frames deprivati della loro essenziale funzione comunicativa. La pausa diviene, dunque, un elemento in sé significante, capace di trasmettere allo spettatore l’ineliminabile individualismo dei personaggi che agiscono sulla scena. L’autore prescrive, del resto, che anche i momenti di parossismo sostanziale siano recitati con toni freddi e secchi, a indicare come il contenimento delle passioni agisca sempre a limitare il rischio di un dono troppo autentico di sé. Il testo è definito dal suo autore una tragedia comica, a sottolineare il riconoscimento di quel quid ridicolo di cui la realtà abbonda: Montalto trasferisce sulla scena «una iper-chiacchierata, un emblema, un’antonomasia, un minimo repertorio di tipi umani riassunti in due burattini e di esperienze quotidiane sempre ai limiti dell’assurdo, ma non assurde», una sorta di cartina tornasole della piccola e crudele illogicità della vita quotidiana. Monologhi di coppia lascia intravedere un occhio lucido e disincantato sul reale che, trasfigurato poeticamente, si svela al lettore – e allo spettatore – in tutta la sua desolante normalità (Paolo Bosisio).